Vajont senza fine

Vajont senza fine

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La notte del 9 ottobre 1963 Mario Passi fu svegliato dalla redazione dell’«Unità» e mandato a seguire la tragedia del Vajont, dove fu il primo giornalista ad arrivare la mattina successiva. Raccolse le testimonianze dei superstiti, persone sconvolte, ragazzi rimasti soli, genitori che avevano perso i figli. Un’esperienza umana e professionale che lo toccò nel profondo. Pochi istanti e duemila persone morirono in una guerra che non seppero di avere combattuto. Oggi, a sessant’anni di distanza, il racconto di quella storia, per il quale Marco Paolini – il cantore teatrale del Vajont – ha scritto delle singolari «Istruzioni per l’uso», torna in libreria. La storia di un’esclusione di popolazioni da scelte che mettevano in gioco le loro vite. La costruzione di una diga, un bacino idroelettrico, una frana gigantesca che si apre sul fianco della montagna. E la decisione di correre un rischio calcolato, di andare avanti comunque: fino al disastro. Una storia che purtroppo si è spesso ripetuta e continua a ripetersi. Allora venne definita la maggior catastrofe mai accaduta in Italia in tempo di pace, dopo il terremoto di Messina. Ma, a differenza del terremoto, non si trattò di un’aggressione improvvisa della natura. Fu una tragedia a lungo preparata dagli uomini, il frutto di un sistema. Questo libro ne ripercorre la genesi.

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Sull'autore

Mario Passi

Mario Passi (1929-2019) nasce a Padova da famiglia antifascista. A 15 anni è impegnato nella Resistenza come staffetta, diventa giornalista nel 1951, a «l’Unità»: dapprima corrispondente provinciale e per il Triveneto, sarà poi inviato nazionale per oltre trent’anni.

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